Ma quale stato ma quale dio, sul mio corpo decido io!La marea femminista che ha attraversato il pianeta l’8 marzo ha bloccato il centro di Torino per l’intera giornata.
L’appuntamento del mattino era alle 10 nei pressi del Cine Massimo. In programma contestazioni e blocchi. Tanti gli slogan, tantissimo l’entusiasmo e la voglia di rendere visibili le ragioni di un otto marzo
che spezza la ritualità di una festa, dove si vive come ogni giorno, con qualche spesa in più dal fioraio.
In centinaia siamo partit* in corteo, guadagnando via Po in direzione di una delle farmacie che rifiutano di vendere la pillola del giorno dopo.
Lunga sosta di fronte alla farmacia, affissione di manifesti e slogan, poi il corteo selvaggio riparte, attuando numerosi lunghi blocchi, che in breve paralizzano la piazza più grande della città. Ma è solo l’inizio.
La Rete Non Una di Meno di Torino decide di accogliere l’invito della sindaca Appendino, che aveva annunciato musei gratis per le donne l’8 marzo. Incomprensibilmente di fronte all’ingresso del prestigioso museo
del Cinema alla Mole Antonelliana, le femministe che vogliono entrare in segno di solidarietà con le lavoratrici della Rear, si trovano di fronte
la celere schierata. Dopo uno spintonamento con i gentiluomini e gentildonne dell’antisommossa, le porte del museo vengono blindate. Volano calci sull’ingresso chiuso. Evidentemente le donne in nero e fucsia che
lottano a fianco delle lavoratrici e dei lavoratori in lotta nei musei cittadini non sono gradite. Appendino preferisce le ragazze supersfruttate che lavorano con la mimosa del fidanzato infilata all’occhiello, le donne
delle pulizie, cuoche, baby sitter, stiratrici che lavorano nelle case senza paga, mentre la loro mimosa già appassisce nel vasetto a centro tavola. È la faccia oscura della nuova Torino Smart, superconnessa,
trendy, tra movida e grandi eventi, dove precarietà, lavori gratuiti, discriminazioni condite da molestie sono normali.
Una normalità che la piazza torinese dell’8 marzo, una piazza di persone in sciopero, ha cercato di spezzare. La lotta alla violenza contro le donne si articolata intersecando i piani, assumendo il punto vista di chi lotta per la libertà del genere, dal genere con uno sguardo attento alle cesure, di classe, di razza, di dominio.Dopo il parapiglia al Museo del cinema il corteo si è diretto in corso Regina, raggiungendo le universitarie uscite dal Campus Einaudi. Insieme si sono fatti due lunghi blocchi in uno dei principali corsi cittadini.Dai posti di lavoro arrivavano notizie di scuole chiuse e di quasi quattromila dipendenti pubblici in sciopero, all’ospedale Mauriziano ha chiuso per sciopero l’ufficio prenotazioni.Nel pomeriggio, in piazza XVIII dicembre, un luogo simbolo delle lotte dei lavoratori anarchici e socialisti, per la lapide che ricorda i martiri della Camera del Lavoro, è subito chiaro che la giornata sarà di quelle da
ricordare. A Torino, l’appuntamento è alle 16, perché è giorno di sciopero generale, perché chi la folla vuole inceppare la macchina, vuole
dimostrare la propria forza. Uno sciopero politico, uno sciopero che mette in discussione l’ordine. Morale, economico, patriarcale,Migliaia di persone si incontrano nella piazza dove, musica e canzoni autoprodotte si alternano agli interventi, alle parole che raccontano le
vite irrappresentate di tante, che oggi si autorappresentano. Tanti cartelli, pochi striscioni, nessuna bandiera, grande radicalità, espressa in slogan e interventi. Non è una classica piazza di movimento, ma una
piazza che si muove intorno a obiettivi e pratiche con una spiccata tensione anticapitalista, antirazzista, antigerarchica, anticlericale.
Ma quale stato ma quale dio, sul mio corpo decido io!
Nello stato fiducia non ne abbiamo, la difesa ce la autogestiamo!
Lo stupratore non è malato, è il figlio prediletto del patriarcato
Lotta dura contro natura
Ma quali leggi? Ma quale protezione? Contro la violenza ci vuole
ribellione!!
E si canta si parte, si torna, insieme, siam tutte puttane, il corpo mi appartiene, il prete e lobiettore dovran tremare se arrivan le mignotte.
Son botte, son botte!L’impegno e la forza delle componenti anti istituzionali e rivoluzionarie nella costruzione della giornata è emerso in modo chiaro, segno che
esistono enormi spazi di crescita, non facilmente riassorbibili da chi, come la cgil ha provato, ad assumersi la maternità di una marea incontrollabile.
Il corteo sfila per ore attraversando il centro cittadino ed approda in piazza Gran Madre di Dio, nel luogo dove i cattolici hanno costruito una
chiesa sulle fondamenta del tempio di Iside. Qui venivano eretti i roghi delle streghe. In un batter docchio la piazza cambia nome, diventa
Piazza Donne Libere arse dalla chiesa. Poi un grande cerchio. Domani è ancora lotto marzo.
Los Ratos
Dopo numerose e partecipate assemblee della rete ‘non una di meno’ siamo arrivate all’8 marzo!
Al grido “Le strade libere le fanno le donne che le attraversano” è iniziata un’intensa giornata di mobilitazioni. Dalla mattina alla sera la città è stata attraversata da cortei e da iniziative varie, espressione delle diverse reti che partecipano alla vita e allo sviluppo del movimento ‘non una di meno’.
Obiettivi simbolici sono stati palazzo Lombardia e il Pirellone, sedi della Regione, centri di propagazione di un vetero maschilismo familista promotore di politiche di genere discriminatorie e colpevolizzanti.
Il corteo del mattino, partito da Largo Cairoli, forte della presenza di molte migliaia di studentesse e studenti, di lavoratrici e di lavoratori, con un lungo percorso – che ha contribuito, insieme allo sciopero del trasporto pubblico, a bloccare gran parte della città – ha toccato alcuni punti significativi: le vetrine della catena di abbigliamento Zara per protestare contro lo stereotipo della mercificazione del corpo femminile, le palme di piazza Duomo contro il proibizionismo nei confronti della cannabis, il consolato USA in solidarietà con le donne americane con la scritta ‘Women’s march smash Trump’, l’ospedale Fatebenefratelli ove una nutrita delegazione ha fatto incursione per denunciare i medici obiettori; ha raggiunto poi la sede della Regione, dove ci si è uniti al presidio in corso contro l’obiezione di coscienza di struttura; qui parole e musica si sono susseguite fino alla conclusione. Dati significativi di questa manifestazione sono stati: il rinnovato protagonismo delle tantissime studentesse e dei tanti studenti presenti, in un anno non particolarmente vivace per l’iniziativa nelle scuole, che con tanti slogan e tanta energia, con cartelli e striscioni dissacranti e combattivi hanno fatto la cifra del corteo; poi la numerosa presenza dei soggetti in sciopero, dalle aderenti ai sindacati che lo avevano indetto, sia per convinzione sia per dare copertura, a quanti hanno ritenuto di dare un contributo a questa mobilitazione sicuramente minoritaria rispetto a quanti sono rimasti al lavoro, ma assolutamente coraggiosa e di orientamento per le battaglie presenti e future contro ogni discriminazione di genere.
Era presente al corteo uno spezzone rossonero contraddistinto dalle numerose bandiere dell’USI, uno dei sindacati che avevano proclamato lo sciopero, e dallo striscione della FAI di Milano, molto apprezzato e fotografato, accompagnati dalla distribuzione di volantini e dalla diffusione di Umanità Nova. Da segnalare inoltre il presidio dell’USI, a conclusione del corteo, all’ospedale di Niguarda in difesa di una lavoratrice licenziata.
Intanto in Galleria Vittorio Emanuele, 100 artiste davano vita ad un grande mandala: un’altra espressione questa della molteplicità di facce in cui questo movimento si sta esprimendo.
In serata, alle 18, dal Pirellone si partiva in 10.000 in corteo, con una composizione più varia, caratteristica di un movimento che si vuole ‘radicale e inclusivo’, ricco della presenza dei tanti collettivi femministi che in questi mesi si sono adoperati per l’organizzazione dell’iniziativa, e che con le proprie specificità hanno voluto dare il proprio caratteristico contributo alla mobilitazione affinché tutte le differenze potessero essere portate in piazza: da Anasuromai ‘su le gonne’ per ridere insieme con tutta la forza della nostra rabbia contro tutte le violenze che si vivono ogni giorno alla modifica della toponomastica cittadina con l’intitolazione delle strade a donne che hanno o subito violenza o arricchito il movimento delle donne con le loro lotte.
Significativa la presenza di uno spezzone di donne e uomini richiedenti asilo, attualmente ospiti della ex caserma Montello, a dimostrazione del carattere internazionale della lotta.
Il corteo, determinato e comunicativo, era contraddistinto dalla mancanza di bandiere e di simboli di partito e sindacato. Insieme agli striscioni dei collettivi femministi e di case delle donne non poteva mancare lo striscione della FAI di Milano sostenuto dalla presenza di numerose compagne e compagni del movimento libertario milanese.
In conclusione l’8 marzo milanese ha dimostrato la ripresa di un ampio movimento di donne che, trasformando questa giornata in un momento di lotta con lo sciopero globale, hanno deciso di riprendersi le piazze dando forte visibilità ad una affermazione di libertà, nel suo più ampio significato, nei confronti di chiese, governi e maschilismi vari, proprio nel momento in cui violenza e sopraffazione nei confronti dell’intero genere umano si vanno intensificando. La risposta delle donne è un segnale per tutt*. Ora l’importante è coglierlo.
Federazione Anarchica – Milano
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PISA
Alla manifestazione dell’8 marzo che si è tenuta a Pisa indetta da Non una di meno hanno partecipato compagne e compagni di diverse località toscane. Pisa è stata una delle città della Toscana che ha dato vita ad un corteo, preparato da un percorso di assemblee locali che hanno visto confluire molte e significative realtà cittadine. Il percorso ha previsto alcune soste durante le quali ci sono stati significativi interventi sulle politiche governative riguardanti ordine pubblico (strade sicure), sanità e lavoro. Alla fine del corteo è stato occupato un ex asilo notturno con l’idea di farci una “casa della donna autogestita”
A Livorno, appena cinque giorni prima dell’otto marzo, è stata promossa in fretta e furia la sigla “Non una di meno Livorno” per volontà di un nucleo di donne in gran parte con funzioni all’interno della CGIL scuola ed enti locali. E mentre da una parte si sosteneva la giornata dello sciopero globale, dall’altra si proponevano due ore di assemblea sindacale in cui effettuare un presidio nelle ore mattutine dell’otto marzo. L’iniziativa, leggibile come evidente boicottaggio dello sciopero, poiché non può essere interpretata diversamente la proposta di chi, in concomitanza di uno sciopero, dirotta su due ore di assemblea sindacale, è stata contestata e ne sono state rilevate le contraddizioni, tanto che il presidio cittadino livornese ha visto un’ampia partecipazione che di fatto si è imposta su chi ne voleva fare un’assemblea sindacale all’aperto. Nel pomeriggio la presenza alla manifestazione di Pisa è stata numerosa e ben caratterizzata.
Le compagne e i compagni della Federazione anarchica livornese e del Collettivo anarchico libertario hanno diffuso un proprio volantino e il numero speciale di Umanità Nova, oltre ad una scheda con una rassegna di episodi di violenza sessuale compiuti da esponenti delle forze dell’ordine.
Le incaricate
Qui il volantino diffuso dai compagni e compagne di Livorno
OTTO MARZO: VOGLIAM LA LIBERTA’
La crisi economica colpisce in maniera particolare le donne, riducendo la loro autonomia economica e rafforzando il ruolo della famiglia. Una famiglia che si regge sul consolidamento dei ruoli tradizionali, che impongono alle donne la “cura” di persone e cose, una famiglia che è il primo luogo di violenza.
Questa è la famiglia tradizionale che tanto sta a cuore ai preti, ai fascisti e a tutti coloro che vogliono imporre, oltre che povertà, anche controllo sulle vite e sui corpi.
Le donne dicono NO. Quello che vogliamo è libertà e autodeterminazione. In ogni luogo e per tutte e tutti. A partire dal rifiuto della violenza e della gerarchia, per l’autonomia economica, la libera scelta di maternità, la libera gestione della sessualità.
Vogliamo decidere sui nostri corpi, sulla nostra sessualità, sulla nostra salute. Nelle strutture ospedaliere e nei consultori non ci deve essere personale sanitario obiettore, né associazioni cattoliche, movimenti provita etc. che ostacolano la libertà di scelta.
Vogliamo che le nostre vite non siano aggredite dalla violenza. Basta con la cultura dello stupro, che incoraggia l’aggressività maschile e supporta la violenza contro le donne, una cultura fondata sull’esercizio del potere, sul patriarcato, sulla gerarchia.
Le istituzioni si limitano a denunciare la punta estrema della violenza, rappresentata dal femminicidio, visto come fattore emergenziale, ma tacciono sulla normalità della violenza che pervade la società del dominio, depotenziano le esperienze autogestite dalle donne, come i centri antiviolenza, per foraggiare il businness istituzionale delle reti antiviolenza.
E’ inaccettabile che gli interventi “educativi” previsti dalle reti siano in larga parte affidati a forze dell’ordine e polizia, cioè a chi per mestiere esercita la violenza: lo fa nelle piazze, nelle caserme, nei centri di accoglienza e spesso, come la cronaca ci mostra, anche all’interno delle pareti domestiche.
Vogliamo un mondo libero, senza frontiere, basato su legami di solidarietà e di reale uguaglianza.
Il sessismo spesso si accompagna al razzismo, come ci stanno a indicare lo sfruttamento sessuale, la tratta, ma anche la “semplice” discriminazione nell’accesso ai servizi sanitari. Ribadiamo la nostra solidarietà con le donne migranti, e con tutte quelle che nel mondo si battono contro lo stato, il capitale, il patriarcato, la religione, soprattutto, in questo momento, le donne kurde, le compagne turche e iraniane. Sono queste le lotte delle donne che vogliamo condividere e non quelle “mainstream” e filoistituzionali che celano la ricerca di un consenso su falsi obiettivi.
Non vogliamo la parità. Vogliamo la libertà, quella vera, non quella decretata per legge. Una società come questa, basata sulla violenza e la diseguaglianza, fa qualche concessione legale solo se è funzionale alle esigenze del capitale, alla perpetuazione dello sfruttamento e della divisione in classi: basta politiche dei tempi e della flessibilità; basta Codici Rosa, quote rosa e pari opportunità; basta col mito dell’apertura di alcune professioni alle donne (in particolare professioni militari) o del raggiungimento di ruoli apicali nella carriera, dalla politica, ai livelli manageriali, agli incarichi accademici. Non barattiamo la lotta per l’autodeterminazione con la conquista di una postazione gerarchica nella società dello sfruttamento.
Per questo siamo in piazza oggi. E non a fianco di chi cerca, anche nell’occasione dell’otto marzo, una visibilità mediatica, un trampolino politico, un terreno di scambio politico-sindacale, un’occasioni di egemonia.
Oggi come sempre siamo a fianco di chi, anche attraverso la rivendicazione di genere, vuole lottare con forza per un mondo nuovo.
FEDERAZIONE ANARCHICA LIVORNESE – cdcfedanarchicalivornese@virgilio.it
COLLETTIVO ANARCHICO LIBERTARIO – collettivoanarchico@hotmail.it – collettivoanarchico.noblogs.org
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TRIESTE
Sorprendente corteo di oltre 1500 persone nel capoluogo regionale che ha percorso il centro cittadino in un clima gioioso ma anche determinato: slogan, canti, fumogeni, balli, adesivi, cartelli e striscioni hanno animato il percorso. La giornata (iniziata dalla mattina con una serie di iniziative all’università) si è conclusa con un’affollata assemblea aperta in piazza unità. Presenti anche un centin1 Ottobre 1920aio di persone (fra cui molti compagni e compagne della nostra area) dal resto della regione e anche dalla slovenia. Molto forte, visibile e plurale la presenza anarchica, libertaria e anarcosindacalista con striscioni, diffusione di Umanità nova e altro materiale informativo, volantinaggi, banchetto e soprattutto le apprezzatissime matrioske rossonere. L’impegno dei compagni e compagni all’interno dell’assembka cittadina di “nonunadimeno” continuerà nei prossimi mesi.
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PARIGI
Le temps de la colère, les femmes / Notre temps est arrivé
Connaissons notre force, les femmes / Découvrons-nous des milliers ! *
“I tempi della collera, donne, i nostri tempi sono arrivati, prendiamo coscienza della nostra forza, donne, scopriamoci migliaia”. L’appello per uno sciopero globale delle donne è stato del tutto inedito nella sua dimensione internazionale. L’idea è nata in Polonia dove le donne occupano le piazze il 3 ottobre 2016 per difendere il diritto all’aborto minacciato da un progetto di legge. In Argentina, il 19 ottobre, scendono in piazza dopo lo stupro e assassinio di una violenza estrema di Lucía Pérez, 16 anni che suscitano una commozione nazionale. Dopodiché la femminista polacca Klementyna Suchanow e il collettivo argentino Ni Una Menos creano un gruppo Facebook con l’idea di convocare sui social uno sciopero globale per rispondere alle violenze sociali, legali, politiche, psicologiche, verbali nei confronti delle donne : “Se le nostre vite non valgono, non produciamo”. Il circolo si allarga fino a raggiungere più di 50 paesi. Tra cui gli Stati Uniti dove una marea, la Women’s march di Washington, si oppone alla crociata annunciata dal nuovo presidente Donald Trump contro l’aborto e il movimento femminista, l’indomani della sua investitura, il 21 gennaio.
In Francia, nel contesto della campagna elettorale dei partiti (e anti-elettorale della Fédération Anarchiste) per la Presidenza della Repubblica ad aprile – maggio 2017, il femminismo vuole fare sentire la voce delle donne in lotta. Le problematiche sono le stesse dappertutto : l’urgenza (in Francia, una donna muore assassinata dal suo marito o compagno ogni tre giorni), la priorità (le discriminazioni nel lavoro) e la preoccupazione per il ritorno del conservatorismo. E non parliamo soltanto del fascismo della Le Pen. Ma di un proprio e vero conservatorismo della sinistra che diceva Le Monde Libertaire metterebbe paura a Jaurès. E ovviamente quello disinibito della destra per fare concorrenza all’estrema destra : il deputato François Fillon aveva votato in Parlamento contro la depenalizzazione dell’omosessualità nel 1982, contro l’unione civile (PACS )nel 1999, contro il matrimonio per tutti (Mariage pour tous) nel 2013. Una bella carriera, no ? Ha finito Premier. E oggi è il candidato della destra. Quindi Fillon (ci scusi se mo chiamiamo Fion, cioè “cazzotto”, la pronuncia è quasi identica !) ultracattolico, anti-abortista, “capisce” i sindaci francesi che hanno vietato la campagna pubblicitaria di prevenzione dell’AIDS per non mostrare ai bambini due uomini che si baciano, poi “ciascuno è libero fare la campagna come gli pare”… wow, siamo messi bene con il suo concetto di libertà ! Infatti il suo programma elettorale include “riscrivere” una parte della legge Taubira del 2013 per abrogare l’adozione piena per i genitori omosessuali. Gli manca solo la parrucca gialla per assomigliare sia alla Le Pen sia a Trump.
In Francia, l’8 marzo non si è mai chiamato Giornata Internazionale della Donna (fondata dall’ONU nel 1975) bensì Giornata Internazionale dei Diritti delle Donne. Perché la donna in singolare è un archetipo, uno stereotipo, un canone in arte, letteratura… e marketing ! Che toglie visibilità alle donne reali, alle minoranze, alla sua diversità di condizioni e classe sociale, alla sua ricchezza culturale. Per tanto facciamo la premessa che questa è stata la Grève internationale des femmes e che si è cantato l’inno del MLF : “Debout femmes esclaves et brisons nos entraves”. Tutto ciò in plurale.
38 associazioni femministe (oltre ai sindacati) avevano convocato lo sciopero che si è organizzato in una quarantina di città : Alliance des Femmes pour la Démocratie, Association Nationale des Études Féministes, Collectif Libertaire Anti-Sexiste, Collectif 52, Collectif Georgette Sand, Collectif National pour les Droits des Femmes, Collectif Tenon, Femen, FIT une femme un toit, Femmes Solidaires, Féministes plurielles, Femmes Égalité, Femmes Migrantes Debout, La Brigade antisexiste, Les effronté-e-s, Les Glorieuses, Ligue des Femmes Internationale pour la démocratie, Marche Mondiale des Femmes, MNCP, Nuit féministe,Osez Le Féminisme !, Paye ta Shnek, Planning Familial, Réseau Féministe Rupture,,ecc.
Lo Sciopero globale delle donne ha avuto modalità diverse : in Francia si è deciso di scioperare alle 15:40 perché, secondo l’OIT, le donne in Francia guadagnano il 25,7% in meno rispetto degli uomini (il 23% a livello mondiale) dunque dalle 15:40, ogni giorno, lavorano senza essere pagate. Quindi si è deciso di portare la questione del lavoro al centro del dibattito. Io sono impegnata a Napoli, comunque a Parigi ci lavoro quindi a Parigi ho scioperato. Riguardo a Napoli però, non c’è stata un’effervescenza cittadina né manifesti dappertutto, i parigini non sapevano nemmeno che c’era uno sciopero internazionale previsto quel giorno. La giornata dell’8 marzo è stato un successo di partecipazione ma il corteo era più militante che cittadino e molti hanno raggiunto il corteo dopo la giornata lavorativa quando non si potevano permettere altro. A dir il vero, sono stata l’unica a lasciare il mio posto di lavoro l’8 marzo, là dove svolgo la mia professione, anche se nessun* rischiava il licenziamento.
Le parole d’ordine erano : Scioperare, non regalare fiori, scrivere sui social per fare sentire la voce delle donne e le loro rivendicazioni, portare un pussy hat (cappello con orecchie di gatta, simbolo dell’anti sessismo), boicottare le marche sessiste, ecc.. Il programma era un’occupazione di Place de la République dalle 14:00 con attività (autodifesa per donne, artigianato, musica, ecc.), uno spazio di dibatitto con un bel cartello (Ateliers de discussion 20 propositions), testimonianze di donne in lotta in mezzo alla piazza, mini concerti, balli, ecc.. Dalle 15:40, c’erano interventi per spiegare perché si scioperava. Alle 17:30 il corteo è partito verso Place de l’Opéra, anziché verso Bastiglia come si fa solitamente, per denunciare lo sfruttamento dei grandi magazzini del Boulevard Haussman. Un corteo molto rivendicativo, anche molto cosmopolita, con gruppi di donne turche, siriane, sudamericane, ecc.
Gli slogan erano stupendi, si perde la rima con la traduzione ma vi faccio ascoltare qualcosa, a casaccio : Sorellanza senza confini ; Ci avete rotto il clitoride ; Il mio corpo mi appartiene ; La solidarietà è la nostra arma ; Donne in piazza, ai maschilisti scappa la pipi ; Polonia, Francia, Europa, Mondo, stessa lotta ; Maschilista = fascista = cattolico ; il mio femminismo sarà intersezionale o sarà di merda ; Raccogli i tuoi cappelli Rapunzel, fallo prendere le scale ; Amore, prende i bimbi a scuola, vai al supermercato, fa le pulizie della casa, prepara una buona cena e pensa anche a farti bello, io sto nel corteo …; “No” vuol dire “No” ; Non sono la donna della tua vita, sono la donna della mia vita ; Lasciamo le pentole, prendiamo la parola ; Basta violenza, le donne non sono oggetti ; Siamo tutte lesbiche politiche ; Stufa della politica patriarcale ; La vita è troppo breve per togliersi i peli della patata ; uno spirito libero in un corpo libero ; la società ci insegna a non farci violentare anziché a non stuprare ; Basta con la dominazione e la violenza maschili ; Le donne lavorano tre volte ; Scelgo io cosa entra e cosa esce ; I diritti delle donne ono diritti umani ; FEMMINISMO, ARMA DI DISTRUZIONE MASCHILISTA.
Monica Jornet dell’OACN-FAI
* Inno del MLF (Mouvement de Libération des Femmes)